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giovedì 28 aprile 2011

GIORGIONE, TIZIANO, TINTORETTO, VERONESE

Nelle vite il Vasari dedica a Giorgione una decina di paginette. Di Giorgione poco sappiamo, era nato a Castelfranvo Veneto ma ancora ragazzo si era trasferito  a Venezia per fare l'apprendista nella bottega di Giovanni Bellini. A 18 anni possedeva già un'ottima tecnica che gli consentì di mettersi in proprio. Ben presto diventò ricco. Acquistò una bella casa in uno de quartieri più eleganti della città ne affrescò la facciata, ornò gli interni di suppellettili pregiate, vi tenne mensa inbandita e ne fece luogo di convegno di dame spensierate. La natura l'aveva fornito di una voce melodiosa e di un certo talento musicale. Cantava con grazia e suonava la viola. Erano i suoi passatenpi quando non dipingeva. Oltre al Bellini i suoi maestri furono Carpaccio che gli ispirò il senso dell'eleganza e della bellezza, da Leonardo apprese l'uso del chiaroscuro e il gusto degli sfondi evanescenti. La lettura di un poeta Jacopo Sannazzaro autore dell'Arcadia che celebrava la sana vita dei campi, lo volse a quel genere buccolico che dominerà la sua pittura tra questi La Tempesta. Aveva un debole per le donne nude, le sue figure femminili sono corpi stupendi, al sesso Giorgione come Raffaello non sapeva resistere. Quando la sua ultima amante si ammalò di peste seguitò a frequentarla ne fu contaggiato e a soli 34 anni pagò con la vita la sua devozione e la sua incontinenza. Tiziano Vecellio di appena un anno più
 giovane l'accompagnarono al cimitero. Tiziano nasce a Pieve di Cadore, di dove ragazzo era emigrato a Venezia nella bottega del Bellini aveva conosciuto Giorgione diventando amici. Nel 1511, anno della peste Tiziano fuggì a Padova. Nel 1513 tornò a Venezia e ottenne la carica di ritrattista ufficiale Dogi con uno stipendio di 300 corone l'anno. Campò fino a 99 anni lasciando numerosi dipinti come il Giorgione amò il nudo femminile. Dopo averlo visto Alfonso primo d'Este invitò l'autore a Ferrara. Ritrasse il Duca, l'ormai attempatella Lucrezia Borgia e un paccioso poeta di nome Ariosto che bazzicava quella corte gaudente e ospitale.

GIORGIONE, TIZIANO, TINTORETTO, VERONESE II

Tutti i signori della penisola volevano un suo dipinto. Nel 1530 l'Arretino lo presentò a Carlo V l'imperatore posò per un ritratto e lo ricompensò con 1 ducato, Tiziano se n' ebbe a male e il Gonzaga per rabbonirlo sborsò di tasca propria 150 ducati. Dopo vari viaggi sempre per lavoro nel 1552 a 75 anni l'artista si riaccasò a Venezia. Alla vigilia della morte fu incaricato di dipingere una Depisizione in cambio di una tomba, ma la peste non ne gliene lasciò il tempo. Quando Tiziano morì Tintoretto aveva 58 anni ma ne dimostrava di più. Aveva avuto una vita difficile, lotte e delusioni avevano lasciato nello spirito del corpo il segno. Si chiamava Jacopo Robusti ed era figlio di un tintore, da quì il suo soprannome. Aveva fatto l'apprendista presso il Tiziano che l'aveva licenziato malamente, chi dice per invidia chi per scarsa attitudine al disegno. Quando andò a bottega aveva 13/14 anni. Non entrò in nessun'altra bottega ma studiò le opere dei Bellini, del Carpaccio, del Giorgione di Leonardo, Raffaello e Michelangelo.Riempì interi quaderni di disegni sperimentò ogni tecnica pittorica era sgobbone, si fece tutto da sè. Per molti anni si adattò a verniciare mobili e a eseguire piccoli lavori. A furia di sacrifici e umiliazioni riuscì a sfondare. Per 100 ducati ottenne l' incarico di affrescare il coro nella chiesa della Madonna dell'Orto. Il dipinto li valse molte lodi e molti clienti. Fu in questo periodo che decise di porre fine alla sua vita randagia, prese per moglie una ragazza bella e formosa che gli diede 8 figli e andò a vivere in una modesta casa. Usciva di rado, non aveva amici e non voleva averne, era chiuso e taciturno. Dipingeva giornate intere dimenticandosi di andare a letto. Morì  nel 1594 a 77 anni, fu definito "il Michelangelo della Laguna". Paolo Cgliari, detto il Veronese frequento per un certo periodo nella città natale la bottega di Antonio Badile. Era un ragazzo amabile, sociebole e delicato e i salotti gli spalancarono le porte. Fece ogni sforzo per adeguarsi alla vita di quella ricca società festaiola investì i suoi guadagni in abiti, pellicce, gioielli e divento l'idolo delle signore. Cercava la compagnia dei ricchi e ritrasse nobili, borghesi, matrone, principi della Chiesa sullo sfondo di fastosi banchetti, feste e balli. A 38 anni sposò la figlia del maestro Badile, dalla quale ebbe 2 figli. Temperò la noia del matrimonio con l'adulterio e si circondò di amanti, mogli dei suoi clienti. Fu stroncato a 60 anni da una misteriosa febbre.

RAFFAELLO

Raffaello era nato nel 1483 a Urbino. Raffaello accompagnava spesso il padre a Corte, si sedeva al suo fianco mentre il padre affrescava le pareti del palazzo o ritraeva i duchi. Quando a 11 anni rimase orfano sapeva già dipingere con abilità. Gli zii l'affidarono al pittore Timoteo Viti, nel 1499 lasciò Urbino e si trasferì a Perugia nella bottega del Vannucci detto il Perugino, lavorò con lui 3 anni. L'artista lavorava giorno e notte, solo le donne riuscivano a distrarlo, gli piacevano tutte ma preferiva quelle brune e formose. Ne aveva tantissime perchè era bello, galante e generoso. Si vestiva con eleganza e portava alle dita costosi anelli, si attirò l'amicizia dei colleghi tra i quali il Pinturicchio. Nel 1504 si trasferì  Firenze e vi rimase fino al 1508, dividendo il suo tempo fra pittura e amori. Ne ebbe moltissime e le sue madonne le dipinse.Nel 1508 Giuglio II lo chiamò a Roma, ne fu felice anche perchè Roma pullulava di donne la cui reputazione non era migliore di quella delle fiorentine. In Roma Raffaello si mise subito al lavoro. Nel 1513 morì il Papa Giuglio II e gli successe Leone X di cui Raffaello diventò il pupillo Leone possedeva una vasta cultura, Raffaello ignorante ma avevano gli stessi gusti, la stessa concezione della vita, lo stesso amore per il lusso e la buona tavola. Solo sulle donne non erano d'accordo perchè mentre il papa era refrattario, Raffaello correva dietro alle gonnelle che si teneva vicine anche quando dipingeva.

RAFFAELLO II

Affrescando la villa Tiberina del banchiere senese Agostino Chigi ottenne che l'amante di turno vi fosse alloggiata, in modo che tra una pennellata e l'altra ne godesse le grazie. Guadagnava molto e aveva acquistato un bellissimo palazzo dove viveva come un principe circondato da uno stuolo di servi, aveva bisogno del lusso, il brutto e il volgare gli davano una sofferenza fisica. Quando usciva lo seguiva un corteo di amici e allievi, prendeva parte alle feste, ai banchetti che si tenevano sia alla Corte Pontificia sia in case di ricchi borghesi. Morì prematuramente, a provocarla furono, pare, gli eccessi sessuali. scive il Vasari: "Raffaello combinò fuori di modo i piaceri amorosi; onde avvenne ch'una volta tra l'altrodisordinò più del solito, perchè tornato a casa con una grandissima febbre, fu creduto da medici che fosse riscaldato. Onde non confessando egli disordine che aveva fatto, per poca prudenza, loro gli cavarono sangue, di magniera che indebolito si sentiva mancare, laddove egli aveva bisogno di ristoro. Perchè fece testamento: e prima come cristiano mandò l'amata sua fuori di casa e le lasciò modo di vivere onestamente, dopo dovise le cose sue fra discepoli suoi, Giuglio Romano, il quale sempre amò moltissimo, Giovan Francesco Fiorentino detto il Fattore, e un non so che prete da Urbino suo parente.... Poi, confesso e contrito, finì il corso della sua vita il giorno medesimo che nacque, che fu il Venerdì Santo, d'anni 37 ( 6 Aprile 1520)". L'amata cui accenna il Vasari era la celebre Fornarina, al momento del trapasso la donna sarebbe stata allontanata dalla stanza di Raffaello per ordine del confessore, che rifiutava di dare l'assoluzione al moribondo in sua presenza. La Fornarina non potè partecipare ai funerali e per il dolore uscì quasi di senno. Il cardinale Bibbiena le consigliò di farsi monaca e in un convento la poveretta passò il resto dei suoi giorni.

martedì 26 aprile 2011

SANDRO BOTTICELLI

Nacque a Firenze in via Nuova (oggi via del Porcellana) ultimo di quattro figli maschi e crebbe in una famiglia modesta ma non povera, mantenuta dal padre Mariano di Vanni Filipepi che faceva il conciatore di pelli ed aveva una sua bottega nel vicino quartere di Santo Spirito. numerosi erano infatti nella zona di Santa Maria Novella (dove si trova via del Porcellana) gli abitanti dediti a tale attività, facilitata dalla prossimità delle acque dell'Arno e del Mugnone. I primi documenti si Sandro sono costituiti dalledichiarazioni catastali (dette portate al catasto), vere e proprie denunce dei redditi in cui i capofamiglia erano obbligati a dichiarare i proprio beni, le rendite e le spese descrivendo lo stato della propria famiglia. In quello del 1458 il padre Mariano citò i quattro figli Giovanni, Antonio, Simone e Sandro, quest'ultimo ha 13 anni e viene definito "malsano" e che "sta a leggere". Il fratello Antonio era un'orefice di professione ed è probabile che l'artista avesse ricevuto una prima educazione presso la sua bottega mentre è da scartare l'ipotesi di un suo tirocinio avvenuto nella bottega di un amico del padre, un certo maestro Botticello, come riferisce il Vasari nelle Vite. Tuttora non esiste nessuna prova documentaria che conferma l'esistenza di questo artigiano. Il nomignolo (Botticelli) pare fosse stato attribuito al fratello Giovanni che di mestiere facevail sensale del Monte (un funzionario pubblico) e che nella portata del catasto del 1458 veniva vochato Botticello, poi esteso a tutti i membri maschi della famiglia. Il suo vero e proprio apprendistato si svolse nella bottega di Filippo Lippi dal 1464 al 1467. Nel 1469 Botticelli lavorava già da solo, come dimostra la portata al catasto del 1469 in cui è segnalato come operante in casa propria. Il 9 Ottobre 1470 Filippo Lippi morì a Spoleto e lo stesso anno Sandro mise bottega per conto proprio. Nel 1472 si iscrisse alla Compagnia di San Luca, la confraternita degli artisti a Firenze e spinse a fare altrettanto il suo amico quindicenne Filippino Lippi figlio del suo maestro, Filippino oltre che caro amico divenne presto il suo primo collaboratore.

SANDRO BOTTICELLI

Nel 1474 venne chiamato a Pisa per affrescare il Caposanto Monumentale. Nella dichiarazione del catasto del 1480 dichiarò un cospicuo numero di alievi e aiuti dimostrando che la sua bottega era ben avviata. Il 27 Ottobre 1480 Botticelli, Cosimo Rosselli, Domenico Ghirlandaio, Pietro Perugino e rispettivi collaboratori partirono per Roma per affrescare le pareti della Ceppella Sistina. Botticelli si vide assegnare tre episodi e il 17 Febbraio 1482 gli venne rinnovato il contratto per le pitture, ma il 20 delllo stesso mese morì suo padre costringendolo a tornare a Firenze per poi rimanervi. Nel 1493 morì suo fratello Giovanni e nel 1495 concluse alcuni lavori per i Medici nel 1498 i beni denunciati al catasto testimoniano un cospicuo patrimonio, una casa nel quartiere di Santa Maria Novella e un reddito garantito dalla villa di Bellosguardo nei dintorni di Firenze. Nel 1502 è un celebre scritto relativo alla realizzazione di un giornaletto denominato Beceri satirico , questo progettono fù mai portato a termine. Nel 1502 fù accusato di sodomia. Nel registro degli Ufficiali di Notte il 16 Novembre di quell'anno è riportato come il pittore "si tiene un garzone" questo episodio non portò danni all'artista il pittore ormai anziano trascorre gli ultimi anni dela sua vita in povertà e isolamento morì il 17 Maggio del 1510. Fù sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di Ognissanti a Firenze. L'unico suo erede fù Filippino Lippi.

venerdì 22 aprile 2011

LIONARDO

FRANCESCO MELZI

Francesco Melzi non fece subito ritorno in Italia, un documento c'informa che il 20 Agosto 1519 si trova ancora ad Amboise, con una pensione del re e che aveva assunto come servo il de Villanis è probabile che abbia ceduto a Francesco I i quadri che Leonardo aveva portato con sè in Francia. Dopo avere eseguito le ultime volontà del maestro e amico nel 1520 o 21 riprese la via di Milano con le migliaia di pagine dei taccuini, tutti i disegni, gli oggetti e gli strumenti che Leonardo gli aveva lasciato in eredità nel 1523 lo ritroviamo in Lombardia e in una stanza della villa di Vaprio viene dedicata ai manuscritti. Assume due scrivani ed essi sotto la sua direzione redigono la raccolta col nome "Trattato della pittura". Questo manuscritto passa al duca dI Urbino, nelle mani di uno oscuro artista milanese per poi entrare nel Vaticano. Il Milzi muore nel 1570. Si era sposato, suo figlio Orazio relega tutti i manuscritti in alcune casse in fondo ad un granaio di Vaprio. Questa storia vinene risaputa e alcuni amatori si recano alla villa ma il Melzi ignaro di ciò che aveva per le mani glieli donò. Oggi i manuscritti di Leonardo, interi quaderni, fogli isolati che a volte l'artista piegava per poterli portare comodamente con sè, pagine disegnate dai suoi quaderni disegnini sono suddivisi tra la Biblioteca Ambrosiana di Milano, l'istitut de France di Parigi Royal Library e musei a Londra, Oxford, all'Accademia di Venezia, all'ex Biblioteca Reale di Torino. Pagine di appunti e disegni si trovano anche a Firenze agli Uffizi, al Louvre e in tanti musei del mondo.

LEONARDO

Fra tutti i discepoli del Verrocchio, Leonardo sarà l'unico ad ereditare la polivalenza del maestro.E' accuratissimo "nella sua toeletta, nel lisciarsi i capelli e nel suonare il liuto". Termina il suo apprendistato e nel 1472, all'età di vent'anni diventa maestro. Rimane comunque nella bottega del Verrocchio, dipinde, disegna,impara, modella in argilla"alcune teste di femmine che ridono..e parimenti teste di putti, ma la sua preferita rimane la pittura. Frequenta altre botteghe, quella del Pollaiolo, che ha conoscenze umanistiche, scorticano i cadaveri per studiarne i muscoli. E' probabile che Leonardo entri nella bottego di Paolo di Dono detto Paolo Uccello, paesaggista, mosaicista, intarsiatore che nutre un appassionato interesse per la geometria e la prospettiva, l'amore per la scienza lo tiene sveglio notti intere,Leonardo gli somiglia, amano la matematica, le cose naturali, gli animali e soppratutto i cavalli.

LEONARDO E IL CIBO

A Milano Leonardo conduce una vita da gran signore" E non avendo egli, si può dir, nulla o poco lavorando, del continuo tenne servitori e cavalli, de' quali si dilettò molto e particularmente di tutti gli altri animali, i quali con grandissimo amore e pazienzia sopportava e governava" dice il Vasari. Leonardo ama gli animali sino al punto di diventare vegetariano. I conti di cucina che  infiorano i taccuini di Leonardo ricordano acquisti di carne destinati agli allievi, il maestro si regala insalate, frutta, legumi, cereali, funghi, pasta; predilige il minestrone. Su un paginone copierà queste regole igeniche in versi:
SE VOI STAR SANO, OSSERVA QUESTA NORMA:
NON MANGIAR SENZA VOGLIA, E CENA LIEVE;
MASTICA BENE, E QUEL CHE IN TE RICIVE
SIA BEN COTTO, E DI SEMPLICE FORMA.
SU DRITTO STA, QUANDO DA MENSA LEVE:
DI MEZZOGIORNO FA CHE TU NON DORMA;
EL VIN SIA TEMPRATO, POCO E SPESSO,
NON FOR DI PASTO, Nè A STOMACO VOTO,
NON ASPECTAR, Nè INDUGIAR IL CESSO;
SE FAI ESERCIZIO, SIA DI PICCOL MOTO.

LEONARDO

Un destino funesto si accanì contro Leonardo anche dopo la sua morte. Nel 1802 un senatore ebbe l'incarico da Napoleone di restaurare i monumenti di Amboise. La cappella di Saint-Florentin fu demolita. Poichè dei bambini giocavano a birilli con le ossa abbandonate fra le rovine, un giardiniere si assunse la responsabilità di nasconderle nell'angolo di un cortile. Nel 1863 il poeta Arséne Houssaye cominciò a scavare nel luogo in cui un tempo sorgieva Saint-Florentin, scoprì un grande scheletro intatto, con un braccio piegato e la testa stranamente appoggiata sulla mano, non lontano deo frammenti di una lastra con un'iscrizione mezza cancellata: "EO DUS VINC", LEONARDUS VINCIUS? Subito deposte in un cesto queste ossa furono smarrite e quindi ritrovate dal conte di Parigi che nel 1874 le fece seppellire al castello nella cappella di Saint-Hubert, con una targa sulla quale fece scrivere che si supponeva che là ci fossero le spoglie di Leonardo da Vinci.

LEONARDO E IL CENACOLO

mercoledì 20 aprile 2011

LEONARDO DA VINCI casa natale


LEONARDO

Indubbiamente Leonardo è  attratto da qualcuno come l'Alberti. Nato nel 1404, come Leonardo figlio illeggittimo, dotato di bellezza e di forza fisica (salta a piedi uniti sulle spalle di un uomo adulto, lancia una moneta con tanta forza da farla arrivare nel punto più alto della volta del Duomo, esperto cavaliere, brillante musico, noto nel campo artistico e scientifico.Filosofo, architetto, scultore, pittore dilettante, ingegnere, matematico. il suo autoritratto ci raffigura un lungo profilo ossuto, fiero dal naso decisamente diritto. La pittura ad olio entra in Firenze in un modo assai curioso. Si pensa che l'invenzione di questo procedimento sia dovuto al fiammingo Jan Van Eyck. Le tele mostravano infatti una superficie lucida con sfumature e trasparenze impossibili da ottenere con colori macinati con acqua, fossero essi usati sul legno trattato oppure fresco cioè un rivestimento di gesso fresco.Il siciliano Antonello da Messina partì per le Fiandre per essere iniziato direttamente alla tecnica di Van Eyck. La insegnò agli amici e a Domenico Veneziano che la trasmise alle botteghe fiorentine. I vantaggi dell'olio sull'acqua sono tanti: consente di sovrapporre gli strati di vernice senza che i colori si mescolino tra loro, di fonderli a piacere, è più facile rendere il rilievo, dare impressione dello spazio, col gioco dei chiaroscuri, sfumare i contorni. Nella bottega del Verrocchio si canta e si suonano diversi strumenti. A quel che si dice Leonardo ha una bellissima voce e suona di virtuoso la lira da braccio. Nei taccuini Leonardo schernisce coloro che "hanno sempre per lor consigliero lo specchio ed il pettine" e quelli che fanno uso della gomma arabica importata a carissimo prezzo dall'oriente per fissare le ciocche di capelli: "il vento dice è loro capital nemico sconciatore degli azzimati capelli" e raccomanda semplicità.

domenica 17 aprile 2011

LEONARDO

L'1 giugno 1519 Francesco Melzi scrisse ai fratellastri di Leonardo per informarli della sua scomparsa: "Credo siate certificati" dice " della morte di maestro Lionardo fratello vostro e mio quanto ottimo padre, per la cui morte sarebbe impossibile ch'io potesse esprimere il dolore che io ho preso. E in mentre che queste mie membra si sosterranno insieme, io possederò una perpetua infelicità, e meritatamente perchè sviscerato e ardentissimo amore mi portava giornalmente. E' dolto a ogniuno la perdita di tal uomo, quale non è più in podestà della natura". Bartolomeo sposò una ragazza nei dintorni di Vinci e nacque un figlio al quale mise nome Piero. Vasari prosegue:" Era desideroso Bartolomeo di avere un figlio mastio e pregava Iddio che questo figliolo avesse l'ingegno di suo fratello Leonardo." Il bambino aveva una "vivezza d'ingegno mirabile". Venne edotto nelle lettere, imparò da solo a disegnare e a modellare figure di terra e Bartolomeo disse:" 'l fratello gli fosse stato renduto nel figluolo". Mandò il figlio Pierino da Vinci a studiare a Firenze presso Baggio Bandinelli, un tempo legato a Leonardo, quindi lo affidò allo scultore detto Il Tribolo. Si recò a Roma dove assimilò lo stile di Michelangelo. Quando la sua fama cominciava a diffondersi all'eà di 23 anni fu portato via da una febbre, a Pisa nel 1553. Di lui retsano alcune sculture, il Dio delle acque al Louvre e un Sansone e un filisteo a Firenze in Palazzo Vecchio.

MORTE DI LEONARDO

Il 23 aprile 1519 qualche giorno dopo il compimento del suo 67 anno, chiede ad un notaio di Amboise, Guglielmo Boreau di ricevere il suo testamento in presenza di testimoni. Non poteva più reggersi in piedi , veniva sorretto dagli allievi e dagli amici. Nel testamento raccomanda l'anima a Dio, desidera essere inumato a Saint-Florentin di Amboise e che le sue spoglie vengano portate dai cappellani e seguite dal priore, dai vicari e dai frati minori di questa chiesa. Che siano celebrate tre messi solenni, che sessanta poveri, ai quali saranno state fatte delle elemosine, portino sessanta ceri, che vengano accese dieci grosse candele quando si pregherà. Lascia al suo servo Battista de Villanis il diritto dell'acqua accordatogli da Luigi XII sul Canale San Cristoforo e metà della vigna offertagli dal Moro, lascia l'altra metà a Salai insieme alla casa posta sul podere. Alla serva Mathurine lascia:" una veste de bon pan negro foderata de pelle et doi ducati per una volta solamente pagati". Ai fratellastri 400 scudi del sole che ha sul conto di Santa Maria Novella a Firenze, oltre alla piccola proprietà ereditata dallo zio Francesco. A Messer Melzi lega infine tutto il resto, la pensione e tutto il suo patrimonio artistico

LEONARDO

Nel luglio del 1493 prende con sè oltre agli allievi una donna di nome Caterina. Più che una semplice serva potrebbe trattarsi dekka vera madre. Freud non dubita nemmeno un istante che Caterina fosse la donna che messer Piero aveva abbandonato dopo avergli dato un figlio e andata poi sposa all'Attaccabriga. Di questo fatto non esistono prove.Adesso sua madre doveva avere sessantasei anni. I registri del catasto permettono di seguire le tracce fino al 1490. Ha avuto quattro figlie ed un figlio, ha vissuto tutta la vita miseramente nei dintorni di Vinci. Restano nel villaggio solo due figlie, entrambe vedove e tre bimbette, il ragazzo resta ucciso a Pisa da un colpo di archibugio. Agli allievi dice:"venne a stare con meco", nei suoi taccuini annota :Caterina venne a dì di luglio 1493" Caterina non viene più menzionata se non per il giorno delle sue esequie avvenute nel 1495/1496. Nei suoi taccuini annota le spese per il funerale, troppo per una governante da soli tre anni al suo servizio. La spesa complessiva era di $ 129 e comprendeva 3 libbre di cera, per il cataletto,palio sopra il cataletto, portatura della salma e della croce,per 4 preti e 4 chierici, per la licienzia agli uffiziali, il medico, zucchero e candele.

LEONARDO

Il Vasari accusa Leonardo di eresia, di non dipendere da nessuna religione, di ritenere il suo sapere scientifico superiore alla religione cristiana. lo accusa di peccare do orgoglio e di essere un blasfemo.Leonardo disprezza le smancerie " de' frati che spendono parole ricevano di gran ricchezze, e danno il paradiso" " E molti, fecer bottega con inganni e miracoli finti, ingannando lo stolta  moltitudine e se nessuno si scpria conoscitore de' loro inganni essi li puniamo" quando al commercio degli oggetti di pietà dice:"l' vedo di novo venduto e crocifisso Cristo e martirizzare i sua santi" Si scaglia contro la vendita delle indulgenze, critica il fasto esagerato dellaa Chiesa, l'obbligo della confessione, il culto dei santi, schernisce i prelati inutili che pretendono "di farsi amico Dio" oziando tutto l'anno in sontuose dimore. Leonardo non è ateo, egli crede in Dio, lo scopre nella miracolosa bellezza della luce, nel moto dei pianeti, nella sapiente disposizione dei muscoli e dei nervi del corpo umano, e in quel capolavoro che è l'anima. Lo chiamo "il primo motore""l'inventore. Leonardo non è un praticante

VERROCCHIO

Il Verrocchio, quando entra nella sua bottega, Leonardo ventenne ha trentun anni. Per quanto ancora giovane Andrea appare un uomo maturo, solido responsabile.Un tragico incidente ha condizionato la sua vita. Una sera adolescente, passeggiava con alcuni amici fuori mura, tra Porta alla Croce  e Porta a Pinti.
Quando si è poveri non essendoci molti mezzi di distrazione ci si accontentava dei passatempi più semplici, lui e gli amici si divertivano a lanciare sassi. Colpì disgraziatamente ad una tempia un certo Antonio di Domenico, l'anaiolo di 14 anni. Tredici giorni dopo il ferito morì, Andrea venne arrestato gettato in prigione e processato per omicidio involontario. I magistrati erano abituati ai giochi con le pietre e lo rilasciarono quasi subito. Aveva però ucciso, era segnato non aveva voglia più di ridere. Suo padre esattore delle imposte morì in quello stesso anno. Lasciava la moglie (Nannina, che non era la madre ma la matrigna di Andrea), sei figli (4 maschi e 2 femmine) e più debiti che beni. Ognuna delle figlie ricevette come dote una casetta, Andrea al contrario, ereditò il carico di metà della famiglia. Il Verrocchio aiuta un pò le sorelle Apollonia e Tita ed ha cura del fratello Tommaso, malaticcio ed ha il carattere instabile che esercita senza grande successo il mestire di tessitore. Sistemerà generosamente i nipoti, sia maschi che femmine.

VERROCCHIO

Le sue dichiarazioni fiscali sfiorano il patetico: " Non guadagniamo le chalzi", lui e il fratello non hanno di che calzarsi, scrive, il Verrocchio continua a pianger miseria. Il suo ritratto mostra un uomo dal viso squadrato, pesante, testardo, animato da due grandi occhi neri inquisitori. Sotto il grosso naso, le labbra sottili non esprimono emozioni. Nessuna mollezza se non forse nel mento piccolo, nervoso e femminile. Maestro Andrea non resta mai inattivo: infaticabile, dice il Vasari, ha sempre qualcosa in cantiere "Perchè meno.... gli venisse una stessa cosa a fastidio". E' entrato come apprendista presso l'orafo Giuliano de' Verrocchi e ne ha assunto il nome secondo un uso in segno di rispetto. Il maestro Andrea allarga il campo della sua attività, si presenta come pittore, decoratore, scultore e orafo. La sua bottega che sicuramente gli serve anche da abitazione situate in via dell'Agnolo, nella parrocchia di Sant'Ambrogio è in grado di soddisfare più richieste. La bottega è un'azienda, un negozio, un piano terra, un locale che si apre sulla strada allo stesso livello della rumorosa via Fiorentina dove si vive, i bambini giocano e i cani, i maiali, i polli, circolano liberamente.

sabato 16 aprile 2011

VERROCCHIO

 Gli apprendisti assunti rappresentano una manodopea a buon mercato o perchè pagano per l'insegnamento che gli viene impartito cominciando con lo svolgere dei lavori più umili, fare le commissioni,spazzare il pavimento, pulire i pennelli, impastare il gesso, sorvegliare la cottura di colle e vernici. Una volta assimilati i rudimenti del mestiere, continuando ad osservare attentamente quello che fanno i più anziani e come lavora il maestro, il discepolo partecipa sempre di più a tutte le opere  avviate dalla bottega.Il Verrocchio è molto più scultore che pittore (nei documenti ufficiali è detto "scharpellatore", cioè scalpellino scultore, talora orefice, intagliatore, mai pittore. Tra i personaggi famosi che entrarono nella bottega del Verrocchio ricordiamo: il Perugino, Lorenzo di Credi, il Botticelli, Ghirlandaio, Luca Signorelli. Quando Leonardo entra nella bottega del Verrocchio, la bottega del maestro Andrea sta per diventare un luogo di incontro di tutti i giovani artisti fiorentini, è un laboratorio, un fecondo crogiolo.Si mette in discussione il mondo, si critica ciò che avviene in città

VERROCCHIO

La bottega dell'artista, come tante in quell'epoca, era una semplice stanza intonacata a calce, priva di vetri che la isolino dall'esterno, la tettoia si piega e serve come imposta, come porta. Le stanze d'abitazione si trovano in basso o al primo piano. Ai muri in mezzo agli schizzi, alle piante, ai modellini delle opere in corso, sono appesi gli utensili. Trespoli e cavalletti si mescolano ai banchi, una mola sta di fronte ad un forno. E parecchie persone, tra cui i giovani apprendisti, gli assistenti, che generalmente vivono sotto lo stesso tetto del maestro, mangiano alla sua tavola, vi lavorano tutti insieme con mansioni diverse. All'esterno, si possono appendere a mo' d'insegna alcune opere di modesto valore. Le botteghe di allora erano piccole officine. Donatello dice il Vasari: a tutte le cose mise le mani, senza guardare che elle fossero vili o di pregio"; dal Ghirlandaio si dipingono delle ceste e il Botticelli lavora a stendardi e ad altre stoffe secondo un procedimento di sua invenzione che conferisce ai colori una certa resistenza,

VERROCCHIO

LA SUA BOTTEGA

venerdì 15 aprile 2011

poveri nel rinascimento




mercanti nel rinascimento





FAMIGLIE DI MERCANTI

Nelle case di queste famiglie c'erano luce, colori brillanti, calore, spazio e numerose stanze, con acqua di facile utilizzo. Una quantità maggiore di luce entrava dalle finestre di vetro bianco o di pergamena trasparente, durante il giorno si aprivano le imposte di legno per avere maggior illuminazione. Braciere, stufe di terracotta, camini dotati di canne fumarie e comignoli per eliminare il fumo riscaldavano le stanze, ora separate o suddifise, con il piano terra riservato alle attività lavorative mentre ai piani superiori viveva e dormiva la famiglia. La signora di una famiglia di  banchieri dell'Italia settentrionale poteva avere fino a dodici stanze private. Gli arazzi pendevano dalle pareti e non più solo intorno al letto del padrone . Incaricavano pittori a decorare le pareti, ricoprivano le pareti con dei pannelli e le imbiancavano, coprivano i soffitti di stoffe colorate, ricoprivano i pavimenti con parquet e li decoravano con mattonelle di ceramica. Coprivano i pavimenti di erbe e fiori in estate e di paglia in inverno. Il pozzo nel cortile forniva l'acqua necessaria, che sarebbe poi stata riscaldata e profumata per lavarsi. La larga tavola rettangolare restava ferma di fronte al camino, bauli, sgabelli, sedie, panche, venivano sistemati lungo le pareti e il padrone di casa aveva la sua sedia intagliata coperta di cuscini. I bauli in seguito diventarono armadi per riporre abiti e biancheria. Fra gli utensili vi erano, piatti, tazze, coppe, forghette e cucchiai. Nel quindicesimo secolo vetro e ceramica divennero meno costosi del metallo.

ABITAZIONI DELLA POVERA GENTE NEL 1400/1500

Froissart, cronista della guerra dei cent'anni descrive una povera abitazione situata a Bruges in Belgio. "un povero, sudicio tugurio, annerito dal fumo del fuoco di torba" "un vecchio lenzuolo di panno macchiato di fumo" riparava il focolare, una scala con sette gradini portava ad una vecchia soffitta, piccola e stretta dove dormivano i bambini, la donna allattava il più piccolo di fronte al fuoco aperto.

FAMIGLIA DATINI DI PRATO DEL 1400 (MERCANTI)

Margherita Datini, sposa del mercante di Prato, Francesco Datini era frugale in tutta la gestione domestica ma se spendeva dei soldi lo faceva per dei vestiti. Aveva biancheria di lino, calze e calzini di lino, berretti da notte di lino, due vestiti di lana da casa e alcuni a maniche lunghe per le funzioni pubbliche. Molti elementi, poi erano intercambiabili e si potevano aggiungere delle fodere a un mantello o all'altro e cambiare le maniche dei vestiti. Fra i beni di valore di Margherita Datini vi erano undici sopravvesti, una in damasco blu rifinita in ermellino, un'altra grigio chiaro con il cappuccio di vaio. Nel 1392 il marito le ordinò in Romania una "roba" di seta groffata in velluto. Aveva copricapi di panno abbinati ad alcuni vestiti, due cappelli di paglia e un cappello di castoro e anche due fibbie dorate e due borsette. Fra i suoi gioielli vi erano alcune collane, fermagli e anelli con pietre preziose, del valore complessivo di 133 fiorini che venivano tenuti dal marito in un cassetto in camera sua. Margherita controllava la preparazione di due pasti al giorno: il primo a base di brodo servito con pane, formaggio e frutta fresca e secca come i datteri e le mandorle. La famiglia pranzava verso mezzogiorno mangiando anche tre portate. I Datini iniziavano con minestra o pasta,seguite da carne farcita, pesce, pollame servito arrosto, bollito o in sfornati coi fagioli, piselli, cipolle, tutti coperti di salse, l'ultima portata era di dolci, a volte una torta con della carne. Francesco Datini comprava le spezie che la moglie gli chiedeva, pepe, cannella e noce moscata. Il Datini trascorreva la maggior parte del tempo a Firenze a Pisa e  scriveva a Prato alla moglie.

I DATINI

Le sue lettere a partire dal 1407 davano istruzioni dettagliate sul come, quando e cosa fare per i 300 acri che lui aveva comprato e voleva che lei li amministrasse. Oltre a controllare la ferratura dei cavali, l'rrigazione degli aranci, la macinazione del grano. Margherita doveva anche provvedere a rifornire il marito dovunque si trovasse. Con diligenza, faceva sì che ogni cosa, dai prodotti freschi alle conserve, vino, olio, carne, uova e perfino il pane veniva incartata e confezionata accuratamente per poi inviargliela.

giovedì 14 aprile 2011

Giotto

Dante disse di lui;" Credette Cimabue ne la pintura,tener lo campo e ora ha Giotto il grido Sì che la fama di colui è scura. Più tardi Ser Andrea Lancia che scrive nel 1334 quando Giotto è ancora vivo
ricorda che:"E' Giotto in tra li pittori, che gli uomini conoscono, il più sommo" Giotto sarè esaltato nel 1340 da Giovanni Villani, da Boccaccio nel Decamerone, da Petrarca nelle Epistule. re Roberto di Napoli in un documento del 1330 lo chiama "il nostro caro e fedele pittore di corte e lo annovera tra i suoi familiares. antonio Pucci scrive nel 1373 che Giotto morì a settant'anni, nel 1337 anno di stile fiorentino, corrispondente al 1336 e si è dedotto che fosse nato nel 1267.Solo nel 1301, quando il pittore doveva avere più di trentanni una sua proprietà "in burgo de foris a Porta Panzani" di Firenze viene citata in due atti del 25 e  26 maggio, relativi ad una vendita di una casa confinante con questa proprietà. E' sicuro da certi riferimenti che sia nato a Colle di Vespignano presso Vicchio, nel Mugello come dice il Vasari:" Di padre detto Bondone, lavoratore di terra e naturale persona", un contadino da poco trasferitosi a Firenze uno di quei paesani di cui Dante non poteva sopportare il puzzo. Firenze al tempo di Giotto era una citta fortificata circondata da mura da centocinquanta bastioni, di cui rimane solo la Torre di San Nicolò. dino Compagni parla delle sue case bellissime come non si vedevano in nessuna parte d'Italia. il Battistero esisteva già era amato tantissimo dai fiorentini, ma non esistevano le porte che ora vi sono.

GIOTTO A PADOVA

Intorno al 1302, probabilmente dai frati minori, per i quali ha eseguito degli affreschi nella loro chiesa, oggi perduti. Subito dopo Enrico degli Scrovegni gli commissiona le pitture nella cappella chiamata dell'Arena. Enrico degli Scrovegni era l'uomo più ricco di Padova, che aveva acquistato il terreno per la cappella nel 1300; suo padre era stato in galera per usura. un antico cronista disse che la cappella venne eretta da Enrico per espiare i peccati del padre, una pratica non rara.Giotto lavorava non solo per gli ordini religiosi ma anche per ricchi borghesi. Più tardi lavorerà per i Bardi, per i Peruzzi, i banchieri più ricchi di Firenze che rifornivano di fiorini d'oro il re d'Inghilterra e il re di Napoli. Lo stesso Giotto era ricco. aveva messo su una bella bottega, era un abile uomo d'affari.I primi dipinti venivano eseguiti in alto, in quanto il colore poteva colare e rovinare gli affreschi inferiori.dopo Padova ritorna a Firenze e nel 1305 affitta ad un certo Bortolo correggiano una sua casa nel sestiere di San Pancrazio, a Santa Maria Novella. Giotto girava per mezza Italia, era già stato ad Assisi, a Roma, Rimini, Ravenna, andrà a Napoli, Bologna e Milano- giotto muore a Firenze nel 1337 "i fiorentini lo seppelliscono a santa Reparata con grandi onori, morendo lasciava una grande eredità artistica

Giotto

L'autore dell'anonimo commento alla Divina Commedia del 1395, racconta che il padre aveva mandato Giotto a lavorare nell'arte della lana. Il ragazzo scantonava e trovava modo di frequentare la bottega del Cimabue. Il padre se ne accorse e alla fine si convinse che Giotto era più tagliato per fare il pittore che il cardatore.Lo lasciò andare a lavorare da Cimabue.Franco Sacchetti noto novelliere ce lo descrive come un uomo pronto di spirito da evitare il ridicolo con una battuta immediata, Mentre Giotto cade "a causa di un porco" si riscatta con "un bel motto" Inizialmente i pittori non erano aggregati a Nessuna Arte poi verso la prima metà del 300 a Firenze riescono ad unirsi nell'Arte dei mercanti di colori. I primi ad entrarvi nel 1327 furono Giotto, Taddeo Gaddi e Bernardo Gaddi.

Giotto

martedì 12 aprile 2011

LA PESTE

NEL 1630 a Firenze la peste entra nell'appennino che separa il Granducato dal Ducato di Parma.Si è nel pieno di un'estate torrida, ai prini giorni di agosto. A Trespiano, sulla via bolognese, poche miglia distante da Firenze, giunge appena valicato il limite montuoso, un pollaiolo. Avanza a fatica, è pallidissimo e supplica Viviano, un suo parente del luogo, di ospitarlo in casa.Gli offre dell'oro per smuovere la resistenza,e si getta su un giaciglio. Dopo pochi giorni l'intera famiglia muore. Dopo pochi giorni la notizia si diffonde in città, dove al calar del sole, giungono gli ordini del Magistrato di Sanità.Con cautela per non creare il terrore a notte fonda vengono seppelliti i cadaveri, le robe infette bruciate e la casa sigillata.Il giorno seguente al Cianfo, un borgo poche miglia più in giù sulla strada che porta a Firenze, viene segnalato qualche caso di morte repentina. i senatori degli Albizi e Carnesecchi insieme ai medici Corvieri e Zerbinelli ordinano la trasformazione dell'ospedale in lazzaretto. Il Cianfo viene circondato da guardia che vietano a chiunque di entrare nel borgo. A Firenze di queste indagini a Firenze non si sà ancora nulla anche se qualche diceria comincia a circolare"colla bocca piccina" come dice il cronista.

LA PESTE

C'é chi tuttavia ripensando a quelle dicerie, pensa ad alcuni avvenimenti successi. Il 15 giugno era stato sepolto in Santa Maria del Fiore un tal Tommaso Ciucci di 45 anni, che abitava in via del Coccomero e aveva una bottga di "veli alla bolognese" in borgo Ognissanti. Da poco aveva assunto un garzone un giovane d.i Bologna che dopo una gran febbre , era morto in ospedale. Passati due o tre giorni il bottegaio Tommaso tornato a casa,"tutto accapacciato" scosso da brividi, e la notte dopo una febbre violenta, si era visto spuntare due carboncelli. Spirò senza sacramenti.La famiglia lo fece seppellire fuori dal Duomo, ma una mano sconusciuta avvicinandosi al cadavere ne aveva rubato il cappello.....sono gli oggetti di tutti i giorni, gli scambi veloci di merci, gli incontri casuali agli angoli di strada che convergono nel tragico crescendo dell'epidemia.

PESTE

SE l'epidemia fiorentina si apre su di uno scenario borghese di traffici e interni domestici, la peste napoletana
di ventisei anni dopo si manifesta in modo diverso.Le cause sono soprattutto marittime.Una nave proveniente da Barcellona assediata e devastata dalla peste era riuscita ad approdare evadendo la quarantena. Scaricandi i soldati aveva dato inizio al contagio questo nella primavera del 1656. La nave portava un carico di grano. Da sempre il grano veniva considerato pericoloso, è il cibo principale dei topi portatori della xenopsylla cheopis, la pulce che con il morso, gli escrementi, le uova, trasmette la peste. Oggi si sà che la pulce è attratta dal bianco, colore dei drappi di lana e lino e delle biancherie da letto, le prime suppellettili che venivano requisite, bruciate o "umigate" e poi sigillate." Così si videro in pochissimo tempo strapazzati dal male molti dè quartieri inferiori della città e può essere che avessero parimenti contribuito le lavandaie dell'ospedale dove cresceva di giorno in giorno il numero degli infermi edè morti" Anche a Firenze l'epidemia si espande nelle zone povere della citta, le strade adiacenti  PortaS.Gallo, Porta a Prato, Porta alla Croce e Porta San Frediano. Queste zone erano chiamate estremità
RELAZIONE DEL NUNZIO APOSTOLICO SPINOLA A ROMA:
"Nelle contrade del popolo gli abitanti sono così stravaganti che, se i Deputati ordinano che si serri qualche casa infetta, non obbediscono e, quando con il rigore se ne pretende l'eseguzione, si sollevano contro chi dà l'ordine et il signor Vicerè vive con tanto timore di non dar campo a qualche disturbo popolare che a cosa maggiore non preme che a non dar pretesto di mala sodisfatione alla plebe...Mi hanno anche detto che, havendo destinato certa limosia per i poveri delle case infette, non riesce al Deputato il distribuirla, perchè andando per assegnarla, si vede in un subito circondato da migliaia di persone che sotto forme violente ciascuna dimanda di essere soccorsa....NAPOLI 1656

mercoledì 6 aprile 2011

filmato antica Roma

Botteghe dell'antica Roma

La bottega del Tonsor ossia il barbiere.
" tutte queste ciccatrici che potete contare sul mio viso, tante quelle di un vecchio pugilatore, me le ha fatte il ferro del barbiere e la sua mano scellerate. Solo il caprone tra tutti gli esseri viventi è il più intelligente,  esso se ne sta con la sua barba e sfugge al carnefice"Così esclamava Marziale, arguto scrittore romano a proposito dei barbieri del suo tempo.Gli arnesi del barbiere erano forbici di ferro, non avevano nè il perno nè i fori per infilare le dita.I rasoi erano anch'essi di ferro e benchè fossero affilati su una pietra fatta venire dalla Spagna, non possedevano il filo delle lame odierne.Se ne sono trovati pochissimi perchè distrutti dalla ruggine, si sono trovati in abbondanza rasoi etruschi, fatti col bronzo.Pare che i primi tonsori provenissero dalla Sicilia, fino ad allora ossia nel III secolo avanti Cristo i romani si facevano crescere liberamente barba, capelli e baffi.Le botteghe dei tonsori si svilupparono a vista d'occhio, le più ecoomiche erano collocate all'aria aperta, nei crocicchi delle strade. Tutto intorno erano collocate delle panche in attesa del proprio turno. Il "paziente stava seduto in mezzo, senza la minima insaponatura, nè unzione, e iniziava la scorticatura.al più si inumidava il volto con acqua fresca.

PROFESSIONI E MESTIERI NELL' ANTICA ROMA

I MEDICI: mi sentivo indisposto e chiamai il medico Simmarco, egli mi venne a visitare accompagnato da un centinai di discepoli: cento mani mi palparono, cento mani gelate. Non avevo la febbre, ora ce l'ho Così ci dice Marziale, I medici, in Roma, andavano a far visita agli ammalati accompagnati da uno stuolo di discepoli. Era un comodo sistema per tenere scuola di medicina a spese del paziente. Non vi erano scuole di questo tipo e tutti potevano professare questa professione. Le medicine venivano preparate e vendute dal medico stesso. Si trattava di unguenti, impiastri, linimenti, decotti e infusi preparati a base di erbe, radici di anemoni contro il mal di denti, infusi di mammole, mirra e zafferano contro le congiuntiviti, impiastro di miele, pane e radici di narciso per le ferite. Si ricorreva a volte a rimedi animali: per difendersi dalla carie sciaquarsi i denti col sangue di tartaruga, oppure versarsi sulla testa un infuso di aceto, vino, zafferano, pepe e sterco di topo per difendersi contro la caduta dei capelli. i medici, gli ingegneri, gli architetti, i pittori, gli scultori, musicisti erano professioni indegne nell'antica Roma. Gli artisti erano maggiormente stranieri

martedì 5 aprile 2011

BOTTEGHE DELL'ANTICA ROMA

Il Termopolio ossia il Bar: A Roma città dal clima mite, capitavano anche giornate particolarmente fredde e si entrava volentieri in un locale per riscaldarsi. Entravano in un termopolio il moderno bar, si bevevano un bicchiere di vino caldo aromatizzato con erbe e resina di pio, la loro bevanda preferita. Generalmente il banco dava direttamente sulla via ed era ricoperto di marmi colorati, nel piano di essi si aprivano alcuni fori, in questi fori stavano infilate le diverse anfore contenenti le bevande. Ad una estremità del banco si innalzavano alcuni gradini di pietra, erano la vetrina di esposizione della pasticceria, si vendevano focacce, pasticci di miele e farina, di miele e cacio, di mosto cotto: dietro al banco c'era un piccolo locale con qualche tavolino: Attorno ai tavolini la clientela era costituita da gente umile, artigiani, piccoli commercianti, soldati gladiatori, schiavi, dispute interminabili e chiassose partite a dadi

domenica 3 aprile 2011

I ROMANI E LE LEGGI SUNTUARIE

Marco Porcio Catone detto "il Censore" è conosciuto come acerrimo nemico di Cartagine nonchè per il suo impegno sociale. Passò la vita a difendere i diritti delle classi medie e povere scagliandosi contro il lusso. Sua è la LEX ORCHIA, prima legge suntuaria che limitava gli eccessi del lusso stabilendo un prezzo massimo per
ogni spesa anche per i pranzi. Le porte delle case dovevano rimanere aperte per eventuali controlli da parte delle autorità. Vent'anni dopo fu promulgata la Lex Faunia, non si potevano avere più di tre ospiti a tavola nei giorni normali e non più di cinque nei giorni di mercato. Un pranzo non poteva costare più di cento assi, naturalmente i componenti della famiglia erano esclusi dalle limitazioni.. Oltre ai cibi acquistati di volta in volta era possibile fare una provvista di circa sei quintali tra salcicce, insaccati e carni affumicate. Erbaggi, legumi e funghi potevano essere serviti a volonta'. Esisteva un proibizionismo che riguardava i vini esteri, continuato nelle leggi LEX LIDIA e LEX LICIDIA. Nella legge LEX CORNELIA la spesa massima per un banchetto era di trenta sesterzidurante le festività, nei giorni feriali la spesa non superava il costo di tre sesterzi.

OSPITALITA' PARTE II

Cicerone in una sua lettera descrive una cena in casa di un certo Lentulo. Dice Cicerone:"".
 le leggi suntuarie che avrebbero dovuto favorire la frugalità mi hanno causato un grave disturbo. Poichè queste leggi lasciavano assoluta libertà per quanto concerne i legumi e qualsiasi altro prodotto della terra. Ho mangiato tanto da provocarmi una digestione che mi durò dieci giorni.
INVITO A PRANZO DI GIOVENALE AD UN AMICO
"Caro amico Persico, vieni da me stasera nella mia casa di campagna a Tibur. Potrai così toccare con mano se io mi conformi o meno a certi principi della mia esistenza e come io non appartenga alla schiera di quelli che si vantano in pubblico di una vita frugale mentre invece dentro alla loro casa a porte chiuse, chiedono a gran voce al loro schiavo una zuppa e sootovoce delle prelibatezze.Eccoti ciò che ti verrà srvito senza che io debba spendere una sola moneta al mercato. Un caprettino grasso che non ha ancora brucato l'erba, nè i rami bassi dei giovani salici. Poi degli asparagi di montagna, appena raccolti, quindi uova tiepide appena tolte dal fieno. Poi dell'uva conservata per lunghimesi ma che sembra ancora fresca. Un cestino con pere di Signa e di Stiria e mele profumate.

ORAZIO RITRATTO

DOV'E' SEPOLTO VIRGILIO ?

Virgilio morì il 21 settembre dell'anno 19 avanti Cristo, a Brindisi, dove era approdato infermo di ritorno dal-
l'infausto viaggio in Grecia Invano cinque anni prima il suo amico Orazio aveva trepitato per lui invocandogli benigne le stelle dei Dioscuri. Morto volle essere sepolto a Napoli Dove nei dolci ozi aveva composto le Georgiche. Virgilio viveva lieto a Napoli nella sua villa sulla verde collina da cui si scorgeva non lontano il mare"E me Virgilio in quel tempo Partenone dolce nutriva, contento nell'opere di un umile vita e son io che un giorno intonai i canti dei pastori e caldo di giovinezza o Titiro ti celebrai all'ombra di un faggio ombroso" Poi venne L'Eneide consumata nei riposi laborosi di sicilia e Campania. Forse a Napoli si fosse preparato il sepolcro per se e per i suoi. modesto sepolcro, la ricchezza non era amica dei poeti e anche Virgilio non era
ricco ma agiato. Egli stesso forse aveva dettato l'epigramma da incidere sulla tomba " Mantua me genuit...tenet nunc Parthenope" Gli antichi affermano che la tomba sorgeva sulla via di Pozzuoli, a due miglia
da Napoli, la Napoli di Augusto molto più piccola dell'odierna città e verso occidente terminava dove oggi vi è palazzo Gravina.Sorgevano in quel luogo splendide ville, quella di Virgilio sorgeva sopra la via puteolana. La tomba non era costruita lungo la via ma cinque metri più in alto. Ricoperta di piante ombrose ed onuste, i
mirti, gli allori, i pini, i cipressi, gli ulivi, le edere, le rose che vengono poi col tempo ripiantate. Permangono ancora dubbi sulla veridicità di Questo modesto colombaio così chiamato dagli studiosi.

VIRGILIO

Ci si erano inchinati Cino da Pistoia, Petrarca, il Boccaccio, si crede che l'immenso alloro cresciuto sulla cupola del monumento fosse stato piantato dallo stesso Petrarca. Virgilio era uomo modestissimo, riservato,
umile, sfuggiva agli onori e si meravigliava quandi i cittadini di Roma lo riconoscevano. Era estremamnte timido e gli riusciva difficile parlare alla presenza di persone che lo mettessero in goggezzione. Una volta alla presenza di Augusto se ne stava zitto in un angolo ascoltando le velate insinuazioni che un certo Filisto faceva su di lui, prendendolo in giro. Ad un certo punto Filisto ridacchiando gli disse "" Ma sei muto?, penso che tu non abbia la lingua..ma anche se l'avessi non sapresti come servirtene"
Virgilio quella volta non seppe tacere e ribattè duramente:" E vero, io di solito non parlo, ma parlano in mia vece la mie opere"

casa Virgilio





ORAZIO E LA SUA INFANZIA

Nato lontano da roma 8 dicembre del 65 a.Cr,  in una cittadina di modeste condizioni sociali. Il padre era libertino di modesta ma sufficiente  agiatezza, era un piccolo proprietario terriero. La mediocritas nella quale ha passato i suoi primi anni diventerà più tardi illuminata da un'esperienza più complessa, diventerà per lui
regola di vita. Sorretto dall'amore paterno protetto contro le prime malignità della gente, dalla fierezza di questo piccolo proprietario libertino che non si piegava alla suprbia dei nati liberi. Le prime sofferenze della vita per i motivi sopra elencati gli sono sempre state evitate.Venosa la cittadina natale era divisa in due classi,
i veterani di Silla e i cittadini del luogo. "il babbo non mi volle mandare alla scuola di Flavio, dove i figliuoli dei grandi andavano con la borsa al braccio sinistro e la tavoletta"" Frequentavano otto mesi all'anno portando qualche soldarello per le Idi." Par di vederla la sfilata dei piccoli romani per le vie dell'umile borgata. Ma contro il puerile disdegno dei coetanei Orazio aveva due rigugi, il padre che amava tantissimo e i boschi intorno a Venosa. Nel Canto Latino  racconterà di essersi spinto solo una volta sulla vetta del monte Vulture.
La stanchezza e il sonno lo colsero e quando si svegliò si trovò tutto coperto di fronde novelle. Il paesaggio venosino rimarrà sempre come sfondo nei suoi scritti. Venosa sorgeva su un poggio tra due piccole vallate, tra due torrentelli che scendono per opposto giro verso l'Ofanto. Ha davanti a sè verso levante una serie di altri poggi e di colline che disgradano verso il mare; a ponente ha i declivi del Vulture

ORAZIO

I boschi, che allora erano vasti e folti, rendevano il paesaggio più raccolto. la via Appia passava a una certa distanza, le citta come Brindisi e Taranto erano così lontane che poche voci e poco strepito ne giungevano fin lassù. Più tardi il padre lo conduce a Roma a studiare, il padre avrebbe voluto essere lui il maestro del suo piccolo e insegnargli quelle arti liberali che cavalieri e senatori insegnavano ai loro ragazzi. Il padre non poteva quindi abbandonò il suo podere e cercò un lavoro più lucroso nella grande città dove non voleva che il figlio si trovasse sperduto per colpa della sua povertà. Da prima fu venditore di pesce salato poi fu collettore nelle aste pubbliche, spendeva senza parsimonia per non far sfigurare il suo figliolo.  " Chi mi avesse visto allora, ben vestito e con un codazzo di schiavi avrebbe creduto che io avessi a disposizione un
gran patrimonio". Frequentava le lezioni di Orbilio, uomo di varia esperienza già vecchio, venuto ad insegnare a Roma durante il consolato di Cicerone.  Era un maestro pedante, imponeva grandi sforzi di memoria, preferiva i vecchi autori. A vent'anni Orazio va ad Atene e il padre lo abbandona a sè stesso e di lì a poco scompare dalla scena.Vita tranquilla, belle conversazioni, liete brigate, dolci banchetti  Orazio amava questa vita anche l'ozio. Non aveva convinzioni politiche, presa la toga virile il mondo era già in pace. Tornò ben presto a Roma, il padre era morto e la casa e il podere di Venosa confiscati e dati ai veterani. La vita spensierata era finita, era la miseria nera.

Orazio

Cercò un impiego e in questo periodo inizia a scrivere. Conosceva già Virgilio, ma l'incontro più significativo fu l'incontro con Mecenate già amico del Virgilio. Figura determinante nella sua vita, Mecenate lo voleva sempre accanto a sè, gli regalò la villa della Sabina, sorgeva nella valle del Digenzia che oggi è monte Rotondo. L'inverno lo trascorreva a Roma d'estate si ritirava nella Sabina. I suoi sentimenti erano comuni, la giovinezza è fugace, la vita è breve, nel pensiero del futuro non c'è altro che angoscia. Bisogna gioire di quel poco che la fortuna ci ha dato , quel poco può diventare molto se vietiamo a noi stessi di guardare più in là
ecco perchè il "CARPE DIEM" cioè cogli la tua giornata. Aveva promesso a Mecenate in un ode di andarsene dal mondo insieme con lui e fu così. Mecenate morì nell'8 a.C il 27 novembre dello stesso anno morì anche Orazio

venerdì 1 aprile 2011

ZARINA LA SUA GIORNATA

Alle sei del mattino Caterina II è già al lavoro: risvegliata di soprassalto sbadiglia e si stira.Le sue cinque cagnette levriere saltano fuori dai loro materassi di seta guarniti di merletti, e si gettano sul letto della padrona,
aspirando il suo profumo, la leccano, la mordicchiano, spazzano il suo viso con le piccole code, latrano, starnutiscono, fanno il più gioioso baccano. per sfuggire a questo, la zarina si alza, sorride alla cameriera che le tende una brocca, si risciaqua la bocca con acqua tiepida, si strofina il viso con del ghiaccio e passa nel
suo gabinetto di lavoro

ZARINA

Alle sei e dieci in veste da camera e cuffia da notte, prende una tazza di caffè bollente, abbastanza forte, distribuisce poi i biscotti e lo zucchero alla sua muta e ben presto la zuccheriera è vuota, la colazione è finita. I cani vengono portati via per una breve passeggiata. Alle sei e un quarto Caterina si mette al lavoro, mentre prende tabacco dal naso, legge rapporti, scrive ordini, scarabocchia un biglietto amoroso all'indirizzo del suo favorito, Gregorio Orlov. Alle ore nove sempre in vesti molto semplici riceve il prefetto di polizia,un ministro, generali, alti funzionari. Ascolta le loro relazioni, pone domande dà istruzioni. All'una del pomeriggio la zarina passa nel suo gabinetto particolare e si veste rapidamente in presenza di due nipotini e di qualche intimo. In dieci minuti ella è vestita, calzata, pettinata e ornata.Caterina ignora i belletti, le ciprie, i nei, il ossetto, il nero, il grasso, le acconciature, i fronzoli. Il suo abito russo è quasi un uniforme.
A tavola : bue bollito, cetrioli salati, bibita: acqua, piatto di mezzo niente, dessert frutta fresca, due del pomeriggio, Caterina ricama, gioca coi suoi nipotini, passeggia nelle gallerie, poi ritorna al lavoro. Alle sei del pomeriggio gioca al whist o al piquet, riceve qualche famigliare. otto di sera grande spettacolo una serie di opera russa. Alle dieci di sera Caterina si ritira senza cena